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Dicembre 2018

Mastopessi

Uno dei più comuni inestetismi che coinvolgono la mammella, è quella condizione nota come ptosi che altro non significa che il progressivo allungamento della fisiologica distanza dei complessi areola/capezzolo da un punto fisso, comunemente considerato l’incisura del giugulo, alla base del collo. Tale distanza è normalmente di 18/19 cm e tende a crescere col passare degli anni per svariati motivi. Innanzitutto la forza di gravità che agisce forzando il legamento sospensore della mammella ad allungarsi e perdere di elasticità. In seconda battuta il peso della mammella gioca chiaramente un ruolo. I fisiologici cambiamenti della vita, aumento e calo ponderale, gravidanza e allattamento, provocano nella mammella dei cambiamenti strutturali che non possono non inciderne nell’estetica. Insomma, se escludiamo mammelle molto piccole, la ptosi, ancorché di vario grado, è una condizione fisiologica inevitabile. Quando i complessi areola/capezzolo giungono a trovarsi al di sotto di una linea ideale che passa per il solco sottomammario, per risollevare la mammella è necessaria la mastopessi ; il “lifting del seno”, accompagnato o meno dall’impianto delle protesi, allo scopo di correggerne anche l’ipotrofia ghiandolare.

Questo intervento viene correttamente eseguito in regime di ricovero in clinica, in anestesia generale e ha una durata di circa tre ore. E’ normale prevedere una notte di osservazione e la dimissione il mattino successivo, effettuate le normali verifiche sul decorso postoperatorio e le condizioni generali della paziente. La gestione del postoperatorio non presenta di solito particolari inconvenienti. Il rinnovo delle medicazioni, la rimozione dei punti di sutura, il monitoraggio della progressiva guarigione e assestamento dei tessuti, occupano mediamente un paio di settimane. Successivamente i controlli si allungano nel tempo, come nella routine di qualunque intervento chirurgico, fino alla definitiva guarigione e ripresa delle normali attività personali e lavorative.


Età e allattamento al seno

Non esiste un periodo ideale per sottoporsi all’intervento di mastopessi. Molto dipende da quanto questo inestetismo condiziona l’autostima e la vita di relazione delle pazienti. Non è affatto infrequente che la richiesta di visita specialistica per una eventuale mastopessi provenga da donne giovani. E’ naturale che la ptosi mammaria, specie se accentuata, condizioni sfavorevolmente una donna giovane o mediamente giovane, venendo invece considerata e in fondo accettata come fisiologica da donne più mature. A questo proposito, un elemento importante di valutazione della tempistica è quello della documentata in letteratura scientifica possibilità di riduzione delle capacità di allattamento da parte delle pazienti operate. Questa complicazione, tanto nota quanto potenzialmente condizionante la scelta delle pazienti, è frutto delle modalità tecniche inerenti alla sua esecuzione. Si tratta di un intervento comunque invasivo che coinvolge strutture estremamente delicate, la cui riduzione di funzionalità è da tenere presente.


La fase preliminare all’intervento: la visita specialistica

Il primo passo è quello della visita specialistica. Per quanto oramai sul web siano presenti informazioni di ogni genere, inclusa la possibilità di confrontare la propria esperienza con quella di altre pazienti interessate all’intervento o addirittura già operate, nulla può e deve sostituire il colloquio diretto con lo specialista. Inviare una foto e avere in risposta un prima valutazione di merito, è una cosa accettabile, oramai entrata nella routine del rapporto medico/paziente, ma nulla può e deve sostituire il confronto diretto con il professionista. E’ quella la sede di reale valutazione delle problematiche, tanto inerenti all’intervento in sé, quanto inerenti alla paziente. Le due cose devono necessariamente trovare la loro sintesi e questo può avvenire solo faccia a faccia. Reale indicazione all’intervento, tempistiche, modalità tecniche, aspettative delle pazienti e reali aspettative di risultato, impegno economico, complicazioni potenziali, sono molti ma non tutti gli aspetti che il confronto diretto andrà a chiarire.


La fase operatoria

La fase preliminare all’intervento: la visita specialistica


Dopo la mastopessi; la fase del post operatorio

Il periodo postoperatorio è di solito facilmente gestito e ben tollerato dalle pazienti, nonostante la complessità e l’invasività dell’intervento. Medicazioni e rimozione dei punti si completano nell’arco di un paio di settimane. Gli elementi da monitorare sono in prima battuta la vitalità dei complessi areola/capezzolo, il progressivo ridursi fino a scomparire delle ecchimosi, la corretta tenuta delle suture e l’andamento generale del processo di guarigione. L’utilizzo del reggiseno contenitivo è molto importante perché costituisce un perfetto e anatomico sostegno ai tessuti, meglio di qualunque bendaggio che risulterebbe comunque costrittivo. Oltretutto permette alle pazienti di vestirsi agevolmente e quindi una buona disinvoltura, anche comportamentale, nell’ambiente familiare lavorativo e personale.Dopo il primo mese i controlli si fanno routinari limitandosi, in assenza di complicazioni, alla valutazione e monitorizzazione del percorso di guarigione. Nel caso che alla mastopessi venga associato l’impianto o anche la sostituzione delle protesi mammarie, il percorso non si discosta da quanto appena detto. Il monitoraggio coinvolgerà ovviamente il corretto assestamento degli impianti, oltre a tutti i parametri citati in precedenza.

In ultimo ricordiamo che la mastopessi modifica radicalmente in meglio l’estetica delle mammelle, ma non può certo cristallizzare per sempre una situazione. Il seno vive con il corpo e ne condivide tutte le avventure ed i passaggi nel tempo. Possiamo dire che questo intervento riporta indietro le lancette del tempo, restituendo al seno un aspetto più florido e giovanile, ma non lo può fermare. Non si può quindi escludere che con il passare degli anni le pazienti più esigenti possano richiedere ulteriori procedure per mantenerne sempre intatta l’estetica.

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Le ragazze ebree non richiedono la rinoplastica

Le caratteristiche somatiche non solo differenziano ogni individuo dall’altro, ma spesso in determinati elementi comuni identificano interi gruppi etnici. Né è un esempio il naso aquilino, carattere tipico dei soggetti, uomini e donne, di razza ebraica. Di questo carattere così spiccatamente identificativo, negli anni 80/90 veniva frequentemente chiesta la correzione, richiedendo i pazienti un profilo meno caratterizzato e più in linea con il gusto occidentale. Una volta visto come un ostacolo alla tradizionale bellezza, molti soggetti di razza ebraica stanno accettando i loro nasi naturali e non prendono quindi in considerazione la rinoplastica. Il numero di interventi di rinoplastica su soggetti di razza ebraica è sceso del 37% a partire dal 2000, secondo l’American Society of Plastic Surgeons.
La rinoplastica, mentre è in aumento in Asia, negli afro-americani e negli ispanici, sta diventando sempre meno popolare tra gli ebrei moderni. Molti di loro stanno abbracciando la loro eredità etnica e sentono meno pressione ad uniformarsi con un modello estetico occidentale.

“Ci sono altri gruppi etnici che hanno preso il posto degli ebrei in ciò che facevano una o due generazioni fa”, ha detto il Dr. Ira Papel, un chirurgo plastico di Baltimora.
È interessante notare che mentre sempre più pazienti non-ebrei ricercano la chirurgia plastica, gli ebrei vogliono conservare il loro carattere razziale. Questa affermazione è del tutto condivisibile e si presta a considerazioni di ordine sociale e socio politiche di una certa rilevanza. In una epoca come l’attuale di economia globale, in un mondo dove spostarsi, anche da un capo all’altro del pianeta, costituisce non più un’avventura, ma una opzione umanamente e professionalmente sempre più praticabile, si manifesta sempre di più da parte dei cittadini del mondo il desiderio di mantenere e ostentare i caratteri identificativi del proprio gruppo in ambito politico, sociale e religioso. A nessuno di noi è sfuggito come l’ostentazione del velo da parte delle giovani donne islamiche trasferite alle nostre latitudini, abbia perso le caratteristiche del vezzo, acquisendo una valenza identitaria.
“Il paziente tipico asiatico che si sottopone ad un intervento di chirurgia delle palpebre desidera un occhio più ampio che abbia un aspetto naturale rispetto al volto asiatico e mantenga una forma a mandorla,” ha scritto l’ ASPS nel 2010. “Un afro-americano può decidere di ridurre la dimensione del naso per raggiungere un equilibrio armonico con le altre caratteristiche del viso, ma non è alla ricerca di un naso che sia più europeo”.
Secondo Bernice Schrank, autore del saggio accademico “Tagliare il naso per far dispetto alla propria razza”, molti attori e attrici si sottopongono alla rinoplastica e correggono il loro naso per “passare” come un membro della razza dominante e poter così interpretare anche ruoli non-etnici. L’autore cita l’attrice Sarah Jessica Parker che ha modificato il suo aspetto e ciò è stato parte della ragione del suo successo nel ruolo della newyorkese non-etnica Carrie Bradshaw nella serie televisiva “Sex and the City.”
La star Lea Michele ha dichiarato di avere resistito alla tentazione di rimpicciolire il naso, nonostante le pressioni di Hollywood. “Quanti manager mi hanno detto: “Fai la rinoplastica. Non sei abbastanza carina”, ha riferito all’ Harper Bazaar. “Ma ho dimostrato loro che si sbagliavano.”
Mentre non sembra esserci fine alle celebrità che fanno la rinoplastica, la tendenza potrebbe essere in calo per le ragazze ebree. “Ciò è dovuto ad un maggiore orgoglio etnico ed al calo del desiderio di non sembrare ebraici” ha dichiarato Melvin Konner della Emory University e medico antropologo. “Che è il motivo per cui è stata inventata la rinoplastica.”

Le occhiaie prima preoccupazione estetica nelle donne

Nell’ambito degli inestetismi appannaggio del distretto oculo palpebrale, un posto di assoluto rilievo deve essere assegnato a quello noto con il termine di occhiaie. Con questa parola si suole indicare la colorazione bluastra della cute palpebrale e sottopalpebrale inferiore. Questo inestetismo è semplicemente il frutto della estrema sottigliezza della cute di questo distretto, la quale lascia intravedere il colore del sangue venoso povero di ossigeno, e quindi bluastro a differenza di quello arterioso riccamente ossigenato di colore rosso vivo, che scorre nei capillari del derma della cute palpebrale. I pazienti spesso confondono la genesi e le possibili soluzioni a tale problema, presentandosi al consulto con lo specialista richiedendo di essere trattati con la blefaroplastica. La blefaroplastica, in questo caso inferiore, non ha alcuna indicazione nel trattamento di tale inestetismo, anzi può addirittura, per via del riarrangiamento cicatriziale che accompagna qualsivoglia manovra chirurgica, peggiorare la situazione, rendendo la circolazione capillare di questo distretto ancora più difficoltosa. Una seconda condizione che i pazienti spesso confondono con le “occhiaie” è l’accentuazione del solco sottopalpebrale, dovuto solitamente alla particolare incavatura dell’orbita con il bulbo oculare. A volte questo aspetto ha origine costituzionale, altre volte si manifesta in pazienti allettati per gravi patologie o defedati, quindi vittima di forte dimagrimento. Per la correzione delle occhiaie sono stati proposti molti rimedi, alcuni dei quali potenzialmente addirittura peggiorativi del problema. Trattandosi di un inestetismo generato da una condizione del tutto fisiologica, quale il normale scorrere del sangue all’interno dei capillari sanguigni, il trattamento più efficace e certamente meno costoso, è quello del semplice camouflage con il correttore del colore. Un presidio che le donne, abituate a truccarsi, conoscono molto bene. Pena la ovvia ripetitività del trattamento, esso offre un ottimo risultato, nessuna invasività e costi quantomai contenuti! Viene spesso proposta la laserterapia, ovviamente sfruttando una lunghezza d’onda del laser tarata sul colore rosso e quindi sul sangue dei capillari. E’un trattamento molto rischioso, aggressivo per la sottilissima cute della palpebra. Ad esso può risultare una cute dall’aspetto vecchieggiante per l‘insulto subito con discromie per via del risultato parziale, oltre ad essere ben più costoso di un semplice correttore del colore.

Per quanto riguarda l’accentuazione del solco sottopalpebrale, alcuni propongo l’infiltrazione con l’acido jaluronico particolarmente fluido o addirittura, in corso di blefaroplastica inferiore, il ribaltamento delle ernie adipose inferiori a foderare il solco rendendolo così meno evidente. L’infiltrazione di questa regione deve essere praticata da mani espertissime, stante la delicatezza dei tessuti coinvolti. Nel secondo caso, si tratta di un vero e proprio intervento chirurgico, con tutti i vantaggi, i costi e i rischi che ad esso conseguono.

Dermatocalasi

Con il termine di dermatocalasi si indica quella condizione caratterizzata dall’aumento della lassità della cute della palpebra superiore. Questa condizione conduce alla formazione di una antiestetica tenda cutanea, che può addirittura superare il margine palpebrale, addirittura con riduzione dello spazio visivo. Questo inestetismo, che può sfociare anche in una vera e propria limitazione funzionale, viene corretto con l’intervento di blefaroplastica superiore che, attraverso una escissione a losanga della cute palpebrale in eccesso, permette di ricostituire la normale morfologia della palpebra superiore.
La dermatocalasi è un inestetismo comune nelle persone anziane anche se può comparire in soggetti di età media. Il progressivo aumento della lassità cutanea con la sua estrema sottigliezza e l’indebolimento del tessuto connettivo, concorrono a rendere il tessuto palpebrale lasso ed eccedente. Questi difetti sono più comuni nelle palpebre superiori, ma possono presentarsi anche nelle palpebre inferiori, anche se in misura più modesta. A livello inferiore sono assai più frequenti le ernie adipose che appesantiscono l’occhio e danno l’immagine di una ridondanza anche cutanea, che spesso, alla prova dei fatti, risulta assente.

Alcune malattie sistemiche possono predisporre i pazienti a sviluppare la dermatocalasi. Tra queste le patologie tiroidee, l’insufficienza renale, i traumi, la cutis laxa, la sindrome di Ehlers-Danlos, l’amiloidosi, l’edema angioneurotico ereditario, e lo xantoma palpebrale o xantelasma. Anche fattori genetici possono giocare un ruolo in alcuni pazienti.

La dermatocalasi può costituire tanto un problema funzionale quanto estetico per i pazienti. Quando è funzionale, la dermatocalasi ostruisce frequentemente il campo visivo, per via della tenda di cute che scende verso il basso. Inoltre, i pazienti possono riscontrare irritazione oculare, entropion della palpebra superiore, ectropion della palpebra inferiore, blefarite, e dermatiti. Quando estetico, i pazienti lamentano una pienezza o pesantezza delle palpebre superiori, “borse” nelle palpebre inferiori, e rughe delle palpebre inferiori e del canto laterale.

Un altro inestetismo che spesso si accompagna alla dermatocalasi è frutto della erniazione parziale del grasso periorbitario dal setto che lo contiene. Questa condizione è molto più evidente, se presente, a livello delle palpebre inferiori e può, a differenza della precedente, essere appannaggio anche di soggetti giovani. Esso è associato spesso con la dermatocalasi. Le ernie adipose a livello delle palpebre superiori si presentano in posizione mediale e mediana. Inferiormente possono presentarsi in posizione laterale, mediale e mediana.

La sindrome della blefarocalasi è separata e distinta dalla dermatocalasi ed è una malattia rara che colpisce in genere le palpebre superiori. La sindrome della blefarocalasi è caratterizzata da edema palpebrale intermittente, che ricorre frequentemente. Questo determina il rilassamento del tessuto palpebrale e conseguente atrofia. In circa il 50% dei pazienti è unilaterale.

Liposuzione liposcultura

La liposuzione costituisce in ambito estetico l’intervento maggiormente praticato al mondo. Grazie alla sua estrema versatilità, che le permette di trattare con successo una infinità di inestetismi nell’ambito della plastica del profilo corporeo, unita ad una relativa semplicità “tecnica” di esecuzione, viene praticata da una molteplicità di professionisti e non sempre in strutture adeguate all’esecuzione di quello che è, a tutti gli effetti, un intervento chirurgico.  Dobbiamo a questo punto fare un passo indietro e aprire una parentesi. Abbiamo parlato di “relativa semplicità tecnica” di esecuzione. Il termine semplicità non dovrebbe mai essere utilizzato in medicina, in quanto estremamente fuorviante. Se anche un profano comprende senza fatica che un intervento a cuore aperto sia tecnicamente più “difficile” di quanto non sia eseguire una liposuzione, questo non significa che la liposuzione sia una procedura semplice. Qualunque intervento, dalla grande chirurgia all’estrazione di un dente, passando per la liposuzione, deve rispettare degli standard rigorosissimi sia dal lato delle strutture nelle quali esso viene eseguito, della preparazione dei professionisti, della preparazione dei pazienti e della gestione del postoperatorio. Il miglioramento e l’affinamento dello strumentario chirurgico ad essa dedicato, ha consentito il passaggio a interventi sempre più fini e mirati a correggere inestetismi di minima entità ma condizionanti l’estetica e l’autostima dei pazienti. Nasce da questi presupposti il termine liposcultura. Un intervento mirato, quindi di minore impatto sui tessuti del paziente, tale da consentire un recupero delle normali attività, se non immediato comunque molto rapido. Tutti elementi scientificamente validi e commercialmente assai più “palatabili” agli occhi dei potenziali candidati, trattando pur sempre di un trattamento da “vendere”

Liposuzione e liposcultura si occupano con modalità differenti della stessa cosa. Ridefinire e ridisegnare il profilo corporeo. Addome, fianchi, regione glutea, arti superiori e inferiori; persino il mento e la regione sottomentoniera sono le zone maggiormente interessate a essere modellate con la liposuzione e la liposcultura. Quello che differisce è la preparazione e la pianificazione tecnica dell’intervento. Wet liposuction, tecnica super wet, fino alle tecniche tumescenti e quelle che prevedono il predeposito sanguigno, sono molte delle carte che i chirurghi possono spendere, calibrando l’intervento sulla specificità del caso clinico potenzialmente idoneo ad essere trattato.

Cute mammella

Elementi di anatomia della cute della regione mammaria. Dettagli importanti da considerare nella pianificazione di un intervento in questa regione anatomica.

Quando prendiamo in considerazione l’anatomia e la morfologia delle mammelle, quando sottoponiamo il seno a una visita allo scopo di pianificare l’eventualità di un successivo intervento chirurgico (mastoplastica additiva, mastopessi, mastopessi con impianto di protesi, mastoplastica riduttiva), dobbiamo tenere sempre ben presenti le caratteristiche anatomiche della cute di questa regione.

Il rivestimento cutaneo non è uniforme su tutta la superfìcie mammaria: la cute presenta maggiore spessore nelle regioni periferiche della ghiandola, mentre si presenta più sottile nella regione dell’areola e del capezzolo. Più ci si avvicina al capezzolo e maggiore è la compattezza tra cute e ghiandola e tale adesione gioca un ruolo fondamentale sulla stabilità di questa regione anatomica.

Lo spessore e la tonicità cutanea possono variare in maniera significativa. A volte il tegumento è molto spesso e si presenta rivestito di una densa struttura connettivale che si estende all’interno della ghiandola, emettendo una fitta ramificazione nel derma. Questa situazione, di solito, interessa giovani donne nelle quali la cute esplica un’azione di primaria importanza nella sospensione della mammella, controbattendo gli effetti della gravità.
Altre volte il rivestimento cutaneo può essere sottile e nettamente separato dalla componente ghiandolare, caratteristica che si può evidenziare con la semplice manovra di pizzicamento durante la visita. In quest’ultima evenienza la cute non riveste grande importanza nella sospensione della mammella e si può scartare l’ipotesi di una sua reale azione di sostegno.
Uno studio condotto sulle linee di forza cutanee (linee di Langer) ha dimostrato come in questa regione anatomica esse tendano a distribuirsi in maniera orizzontale, delineando una lieve concavità rivolta verso l’alto e rispettando, in linea di massima, la direzione delle coste.

Alcuni specialisti sostengono che la resistenza cutanea alla distensione è maggiore in corrispondenza delle aree in cui la forza di trazione è più elevata, la qual cosa sta a dimostrare come sia poco sensato, in qualsiasi intervento chirurgico, alterare la disposizione della cute poiché ciò potrebbe mettere a repentaglio l’integrità di uno dei fattori di sostegno.
E’ importante non scordarsi mai che la cute rappresenta praticamente l’unico sistema di sostegno, insieme al legamento sospensore (legamento di Cooper), in grado di mantenere la proiezione della ghiandola mammaria. Qualsiasi tentativo di utilizzare altri elementi anatomici come meccanismo di supporto sono quindi destinati, con ogni probabilità, al fallimento.
Il chirurgo, pertanto, deve:

  • ridurre il volume della ghiandola mammaria in modo da evitare una tensione eccessiva al reggiseno cutaneo.
  • evitare di separare la cute dalla ghiandola laddove sia presente un’adesione fra questi due elementi.
  • tener presente che deve esserci sempre una perfetta corrispondenza tra il contenuto ghiandolare e l’involucro cutaneo.

Chirurgia estetica della mammella

Mastoplastica additiva, mastoplastica riduttiva, mastopessi. Differenti opzioni per rispondere alle esigenze di natura estetica e funzionale della chirurgia della mammella

La mammella, quale elemento non solo funzionale ma anche di grande impatto estetico della figura femminile, può con l’incedere del tempo essere vittima di diverse patologie, o anche semplici inestetismi, che ne condizionano l’aspetto. Il seno “vive” insieme al resto del corpo e condivide con esso tutti gli accadimenti dell’esistenza, nella buona e nella cattiva sorte. Il seno può presentarsi piccolo, o virtualmente assente, oppure ancora perdere leggermente di tono e consistenza con l’andare degli anni. In questo caso la mastoplastica additiva, che permette di incrementarne il volume attraverso l’impianto delle protesi, costituisce la scelta più idonea. Quando la mammella, per effetto di importanti sbalzi di peso, oppure per via degli stimoli ormonali durante la gravidanza e l’allattamento, vede il suo tono ridursi in maniera cospicua e i complessi areola/capezzolo aumentare la loro distanza dalla linea del giugulo, fino addirittura a superare verso il basso la linea ideale che passa per il solco sottomammario, non è più possibile correggere il suo aspetto con il mero impianto di ulteriore volume, ma si rende necessario “liftare” la mammella verso l’alto, configurandosi l’intervento noto come mastopessi. Mastopessi e aumento di volume mediante l’impianto delle protesi non sono termini, o procedure chirurgiche, in contraddizione. Anzi, a volte le due tecniche si embricano, nei casi in cui l’impoverimento del tessuto mammario è stato di tale entità da aver lasciato quasi soltanto l’involucro cutaneo, quale simulacro del seno che non c’è più.

Altro capitolo è quello di una mammella troppo voluminosa, con tutti i disturbi che a questa condizione possono seguire. Non solamente l’imbarazzo da un punto di vista estetico, ma una vera e propria condizione di disagio con disturbi funzionali che possono coinvolgere la colonna vertebrale e le spalle, per via del peso eccessivo. In queste situazioni, imperativo è ridurre il volume mammario entro limiti consoni al recupero dei disagi funzionali. La mastoplastica riduttiva è in questo caso l’intervento di scelta. Di seguito alcune brevi note esplicative.

Leggi tutto sulla Chirurgia estetica del seno – Pagina di approfondimento alla chirurgia estetica del seno del sito ufficiale del Dr. Dauro Reale, specialista in chirurgia estetica.


Mastoplastica additiva

La mastoplastica additiva aumenta il volume mammario attraverso l’impianto di protesi di varia forma e volume. Dire “protesi” è come aprire un mondo. Gli impianti si differenziano in prima battuta in base alle loro caratteristiche costruttive. La maggior parte di essi sono costituiti da un involucro in silicone, la cui superficie può essere liscia, massimizzandone la morbidezza, oppure “ruvida”: Il termine appropriato è “testurizzata”. Questa parola rende scientificamente ragione di un particolare trattamento dell’involucro, eseguito allo scopo di ridurre l’incidenza percentuale della contrattura capsulare patologica, complicazione principe dell’impianto di protesi, che con gli impianti lisci di prima generazione (ricordiamo che gli impianti mammari nascono negli anni 60) risultava statisticamente troppo significativa. Oggi, con il deciso miglioramento della qualità costruttiva degli impianti, tale problematica si è sostanzialmente ridotta. Prova ne sia che tutte le principali aziende del settore stanno raffinando le metodologie di testurizzazione dei propri prodotti. Si parla ora di microtesturizzazione e addirittura di  nanotesturizzazione allo scopo di avvicinarsi sempre di più alla morbidezza tipica delle superfici lisce. Le protesi si differenziano poi in rotonde e anatomiche. La differenza sta nell’uniformità del profilo per le rotonde, mentre quelle anatomiche si presentano maggiormente rappresentate nel polo inferiore a discapito di quello superiore. Per ognuna di queste tipologie, sono previste una infinità di misure e di volumi, espressi in cc, oltre a almeno 4 differenti proiezioni (bassa, media, alta, extraproiezione). Va da sé che per ogni paziente sarà possibile trovare l’impianto idoneo, considerando l’anatomia di base e le aspettative di risultato. Un ultimo ritrovato della tecnica è rappresentato dalle protesi cosiddette ergonomiche, nelle quali la tipologia del gel consente in posizione verticale, partendo da un profilo rotondo, il suo assestamento verso il polo inferiore, simulando ancora di più un seno naturale.


Mastopessi

Nei casi in cui la ptosi mammaria raggiunge i limiti oltre i quali non è più possibile la correzione mediante il semplice aumento del volume, si rende necessario eseguire un vero e proprio “lifting” della mammella, ricompattando e riposizionando la componente ghiandolare/adiposa e, nel contempo, eliminando la cute in eccesso. Si parla di mastopessi, alla quale può associarsi o meno l’impianto di protesi. Nel primo caso la ptosi è solamente cutanea, con la presenza di una componente ghiandolare ancora ben rappresentata. Nel secondo caso, alla ptosi cutanea si associa l’ipotrofia ghiandolare, con conseguente eccessiva riduzione di tono della mammella in toto e conseguente necessità del suo ripristino. I differenti gradi di ptosi e i volumi mammari presenti, condizionano le tecniche operatorie, non a caso numerose nella letteratura scientifica al riguardo. In sintesi, ciò che varia è soprattutto l’estensione delle cicatrici. Dalla sola periareolare, appannaggio della tecnica nota come “round block”, fino alla classica T rovesciata, che prevede oltra a quella periareolare anche la branca verticale e quella orizzontale nei limiti del solco sottomammario. Ovviamente in sede di visita specialistica tutti questi aspetti saranno correttamente valutati dallo specialista che ne renderà edotta la paziente.


Mastoplastica riduttiva

L’indicazione a questo intervento è insita nel suo stesso nome. Un seno troppo voluminoso può condurre a situazioni di carattere disfunzionale, quali dolori alle spalle, sensazione di disagio per il peso eccessivo, vere e proprie modificazioni scheletriche a carico della colonna vertebrale, oltre naturalmente ad un marcato disagio estetico. Ridurre il volume del seno può quindi avere una duplice funzione, con sensibili miglioramenti nella qualità di vita delle pazienti. L’entità della riduzione deve essere calibrata. Da un lato per consentire alle candidate all’intervento, comunque abituate ad un seno voluminoso, di non ritrovarsi di punto in bianco con un torace radicalmente differente, cosa che le pazienti stesse nella quasi totalità dei casi dichiarano di non volere. In secondo ordine, l’eccessiva demolizione dei tessuti comporta problematiche di sopravvivenza e vitalità del tessuto residuo. Bisogna quindi essere sempre oculati nella pianificazione operatoria e nell’esecuzione tecnica.


Ricostruzione mammaria

Si tratta di un ambito completamente differente, nel quale le considerazioni di natura estetica sembrerebbero lasciare il passo a quelle sull’integrità fisica delle pazienti, ma che anche in questi casi entrano prepotentemente. L’oncologia mammaria ha fatto passi da gigante, permettendo di unire l’indispensabile radicalità chirurgica a demolizioni sempre più mirate, che lasciano quindi aperti al chirurgo ampi spiragli per una ricostruzione efficace. Si tratta, come detto, di un capitolo vastissimo che necessita per forza di cose di essere trattato in maniera non sintetica.