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Chirurgia estetica

Cute mammella

Elementi di anatomia della cute della regione mammaria. Dettagli importanti da considerare nella pianificazione di un intervento in questa regione anatomica.

Quando prendiamo in considerazione l’anatomia e la morfologia delle mammelle, quando sottoponiamo il seno a una visita allo scopo di pianificare l’eventualità di un successivo intervento chirurgico (mastoplastica additiva, mastopessi, mastopessi con impianto di protesi, mastoplastica riduttiva), dobbiamo tenere sempre ben presenti le caratteristiche anatomiche della cute di questa regione.

Il rivestimento cutaneo non è uniforme su tutta la superfìcie mammaria: la cute presenta maggiore spessore nelle regioni periferiche della ghiandola, mentre si presenta più sottile nella regione dell’areola e del capezzolo. Più ci si avvicina al capezzolo e maggiore è la compattezza tra cute e ghiandola e tale adesione gioca un ruolo fondamentale sulla stabilità di questa regione anatomica.

Lo spessore e la tonicità cutanea possono variare in maniera significativa. A volte il tegumento è molto spesso e si presenta rivestito di una densa struttura connettivale che si estende all’interno della ghiandola, emettendo una fitta ramificazione nel derma. Questa situazione, di solito, interessa giovani donne nelle quali la cute esplica un’azione di primaria importanza nella sospensione della mammella, controbattendo gli effetti della gravità.
Altre volte il rivestimento cutaneo può essere sottile e nettamente separato dalla componente ghiandolare, caratteristica che si può evidenziare con la semplice manovra di pizzicamento durante la visita. In quest’ultima evenienza la cute non riveste grande importanza nella sospensione della mammella e si può scartare l’ipotesi di una sua reale azione di sostegno.
Uno studio condotto sulle linee di forza cutanee (linee di Langer) ha dimostrato come in questa regione anatomica esse tendano a distribuirsi in maniera orizzontale, delineando una lieve concavità rivolta verso l’alto e rispettando, in linea di massima, la direzione delle coste.

Alcuni specialisti sostengono che la resistenza cutanea alla distensione è maggiore in corrispondenza delle aree in cui la forza di trazione è più elevata, la qual cosa sta a dimostrare come sia poco sensato, in qualsiasi intervento chirurgico, alterare la disposizione della cute poiché ciò potrebbe mettere a repentaglio l’integrità di uno dei fattori di sostegno.
E’ importante non scordarsi mai che la cute rappresenta praticamente l’unico sistema di sostegno, insieme al legamento sospensore (legamento di Cooper), in grado di mantenere la proiezione della ghiandola mammaria. Qualsiasi tentativo di utilizzare altri elementi anatomici come meccanismo di supporto sono quindi destinati, con ogni probabilità, al fallimento.
Il chirurgo, pertanto, deve:

  • ridurre il volume della ghiandola mammaria in modo da evitare una tensione eccessiva al reggiseno cutaneo.
  • evitare di separare la cute dalla ghiandola laddove sia presente un’adesione fra questi due elementi.
  • tener presente che deve esserci sempre una perfetta corrispondenza tra il contenuto ghiandolare e l’involucro cutaneo.

Chirurgia estetica della mammella

Mastoplastica additiva, mastoplastica riduttiva, mastopessi. Differenti opzioni per rispondere alle esigenze di natura estetica e funzionale della chirurgia della mammella

La mammella, quale elemento non solo funzionale ma anche di grande impatto estetico della figura femminile, può con l’incedere del tempo essere vittima di diverse patologie, o anche semplici inestetismi, che ne condizionano l’aspetto. Il seno “vive” insieme al resto del corpo e condivide con esso tutti gli accadimenti dell’esistenza, nella buona e nella cattiva sorte. Il seno può presentarsi piccolo, o virtualmente assente, oppure ancora perdere leggermente di tono e consistenza con l’andare degli anni. In questo caso la mastoplastica additiva, che permette di incrementarne il volume attraverso l’impianto delle protesi, costituisce la scelta più idonea. Quando la mammella, per effetto di importanti sbalzi di peso, oppure per via degli stimoli ormonali durante la gravidanza e l’allattamento, vede il suo tono ridursi in maniera cospicua e i complessi areola/capezzolo aumentare la loro distanza dalla linea del giugulo, fino addirittura a superare verso il basso la linea ideale che passa per il solco sottomammario, non è più possibile correggere il suo aspetto con il mero impianto di ulteriore volume, ma si rende necessario “liftare” la mammella verso l’alto, configurandosi l’intervento noto come mastopessi. Mastopessi e aumento di volume mediante l’impianto delle protesi non sono termini, o procedure chirurgiche, in contraddizione. Anzi, a volte le due tecniche si embricano, nei casi in cui l’impoverimento del tessuto mammario è stato di tale entità da aver lasciato quasi soltanto l’involucro cutaneo, quale simulacro del seno che non c’è più.

Altro capitolo è quello di una mammella troppo voluminosa, con tutti i disturbi che a questa condizione possono seguire. Non solamente l’imbarazzo da un punto di vista estetico, ma una vera e propria condizione di disagio con disturbi funzionali che possono coinvolgere la colonna vertebrale e le spalle, per via del peso eccessivo. In queste situazioni, imperativo è ridurre il volume mammario entro limiti consoni al recupero dei disagi funzionali. La mastoplastica riduttiva è in questo caso l’intervento di scelta. Di seguito alcune brevi note esplicative.

Leggi tutto sulla Chirurgia estetica del seno – Pagina di approfondimento alla chirurgia estetica del seno del sito ufficiale del Dr. Dauro Reale, specialista in chirurgia estetica.


Mastoplastica additiva

La mastoplastica additiva aumenta il volume mammario attraverso l’impianto di protesi di varia forma e volume. Dire “protesi” è come aprire un mondo. Gli impianti si differenziano in prima battuta in base alle loro caratteristiche costruttive. La maggior parte di essi sono costituiti da un involucro in silicone, la cui superficie può essere liscia, massimizzandone la morbidezza, oppure “ruvida”: Il termine appropriato è “testurizzata”. Questa parola rende scientificamente ragione di un particolare trattamento dell’involucro, eseguito allo scopo di ridurre l’incidenza percentuale della contrattura capsulare patologica, complicazione principe dell’impianto di protesi, che con gli impianti lisci di prima generazione (ricordiamo che gli impianti mammari nascono negli anni 60) risultava statisticamente troppo significativa. Oggi, con il deciso miglioramento della qualità costruttiva degli impianti, tale problematica si è sostanzialmente ridotta. Prova ne sia che tutte le principali aziende del settore stanno raffinando le metodologie di testurizzazione dei propri prodotti. Si parla ora di microtesturizzazione e addirittura di  nanotesturizzazione allo scopo di avvicinarsi sempre di più alla morbidezza tipica delle superfici lisce. Le protesi si differenziano poi in rotonde e anatomiche. La differenza sta nell’uniformità del profilo per le rotonde, mentre quelle anatomiche si presentano maggiormente rappresentate nel polo inferiore a discapito di quello superiore. Per ognuna di queste tipologie, sono previste una infinità di misure e di volumi, espressi in cc, oltre a almeno 4 differenti proiezioni (bassa, media, alta, extraproiezione). Va da sé che per ogni paziente sarà possibile trovare l’impianto idoneo, considerando l’anatomia di base e le aspettative di risultato. Un ultimo ritrovato della tecnica è rappresentato dalle protesi cosiddette ergonomiche, nelle quali la tipologia del gel consente in posizione verticale, partendo da un profilo rotondo, il suo assestamento verso il polo inferiore, simulando ancora di più un seno naturale.


Mastopessi

Nei casi in cui la ptosi mammaria raggiunge i limiti oltre i quali non è più possibile la correzione mediante il semplice aumento del volume, si rende necessario eseguire un vero e proprio “lifting” della mammella, ricompattando e riposizionando la componente ghiandolare/adiposa e, nel contempo, eliminando la cute in eccesso. Si parla di mastopessi, alla quale può associarsi o meno l’impianto di protesi. Nel primo caso la ptosi è solamente cutanea, con la presenza di una componente ghiandolare ancora ben rappresentata. Nel secondo caso, alla ptosi cutanea si associa l’ipotrofia ghiandolare, con conseguente eccessiva riduzione di tono della mammella in toto e conseguente necessità del suo ripristino. I differenti gradi di ptosi e i volumi mammari presenti, condizionano le tecniche operatorie, non a caso numerose nella letteratura scientifica al riguardo. In sintesi, ciò che varia è soprattutto l’estensione delle cicatrici. Dalla sola periareolare, appannaggio della tecnica nota come “round block”, fino alla classica T rovesciata, che prevede oltra a quella periareolare anche la branca verticale e quella orizzontale nei limiti del solco sottomammario. Ovviamente in sede di visita specialistica tutti questi aspetti saranno correttamente valutati dallo specialista che ne renderà edotta la paziente.


Mastoplastica riduttiva

L’indicazione a questo intervento è insita nel suo stesso nome. Un seno troppo voluminoso può condurre a situazioni di carattere disfunzionale, quali dolori alle spalle, sensazione di disagio per il peso eccessivo, vere e proprie modificazioni scheletriche a carico della colonna vertebrale, oltre naturalmente ad un marcato disagio estetico. Ridurre il volume del seno può quindi avere una duplice funzione, con sensibili miglioramenti nella qualità di vita delle pazienti. L’entità della riduzione deve essere calibrata. Da un lato per consentire alle candidate all’intervento, comunque abituate ad un seno voluminoso, di non ritrovarsi di punto in bianco con un torace radicalmente differente, cosa che le pazienti stesse nella quasi totalità dei casi dichiarano di non volere. In secondo ordine, l’eccessiva demolizione dei tessuti comporta problematiche di sopravvivenza e vitalità del tessuto residuo. Bisogna quindi essere sempre oculati nella pianificazione operatoria e nell’esecuzione tecnica.


Ricostruzione mammaria

Si tratta di un ambito completamente differente, nel quale le considerazioni di natura estetica sembrerebbero lasciare il passo a quelle sull’integrità fisica delle pazienti, ma che anche in questi casi entrano prepotentemente. L’oncologia mammaria ha fatto passi da gigante, permettendo di unire l’indispensabile radicalità chirurgica a demolizioni sempre più mirate, che lasciano quindi aperti al chirurgo ampi spiragli per una ricostruzione efficace. Si tratta, come detto, di un capitolo vastissimo che necessita per forza di cose di essere trattato in maniera non sintetica.

Blefarocalasi e ernie adipose palpebrali – ptosi palpebrale

Blefaroplastica e correzione della ptosi palpebrale; due interventi facenti capo il primo alla chirurgia del ringiovanimento del volto, il secondo alla chirurgia funzionale del distretto oculo palpebrale. Indicazioni e limiti di ognuna e possibilità di gestione nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale

La blefaroplastica è il termine generico che indica l’intervento chirurgico volto al ringiovanimento del distretto oculo palpebrale. Più correttamente definiamo la blefaroplastica superiore, la blefaroplastica inferiore e la procedura che le combina entrambe in un unico atto chirurgico, la blefaroplastica totale. Nel dettaglio, la blefaroplastica superiore corregge l’eccesso di cute a carico delle palpebre superiori che porta alla formazione della classica “tenda” e nel caso presenti, consente di asportare le ernie adipose a questo livello presenti. Tale inestetismo può, se particolarmente marcato, comportare anche un disagio di carattere funzionale riducendo, esattamente come una tapparella abbassata la luce di una finestra, in parte il campo visivo. Questa condizione è solitamente appannaggio di soggetti avanti con gli anni, nei quali una certa lassità e conseguente cedimento della cute, anche palpebrale, è da considerarsi fisiologico. Meno frequentemente tale condizione riguarda soggetti giovani, i quali sono maggiormente interessati a una leggera correzione della forma dell’occhio. Tali condizioni sono di fatto pertinenti alla chirurgia estetica e gestiti in ambito privato, non venendo riconosciuti come patologie, ma solo come inestetismi dal Sistema Sanitario Nazionale. La blefaroplastica inferiore corregge a sua volta, se presente come vedremo, l’eccesso di cute a carico delle palpebre inferiori. In questo caso non si parla di “tenda” come nel caso precedente, ma di “ridondanza” La differenza è naturalmente dovuta alla forza di gravità che agendo sempre in maniera attrattiva agisce differentemente su questi due comparti. Corollario tipico è la presenza delle ernie adipose inferiori, le quali contribuiscono a accentuare l’effetto della ridondanza cutanea, potendo trarre in inganno i meno esperti, che possono essere portati a scambiare l’effetto di spinta e stiramento sulla cute palpebrale delle borse adipose erniate per un eccesso cutaneo, che invece è solo virtuale. Tale condizione è anch’essa tipica dell’età media/avanzata, mentre la presenza delle sole borse adipose è molto frequente anche in soggetti giovani, nei quali la loro eliminazione senza lifting della palpebra inferiore, assolutamente non necessario, configura l’intervento di blefaroplastica inferiore, nella sua variante transcongiuntivale.

Blefaroplastica – Correzione della ptosi palpebrale

Con il termine di ptosi palpebrale, si indica una condizione clinica completamente differente, nella quale la “caduta” o l’insufficiente capacità di sollevare la palpebra superiore, è dovuta a una lesione a carico del tendine del muscolo elevatore della palpebra superiore. Tale deficit, monolaterale o bilaterale e a volte anche di differente entità fra i due lati, può essere di natura congenita o acquisita. Nel primo caso, è riscontrabile una eccessiva lunghezza del tendine o una non corretta, parziale o totale, inserzione sulle fibre muscolari, con ovvio impedimento alla sua funzione. Diversamente, l’origine può essere traumatica, nel caso di incidenti che coinvolgano pesantemente questa regione, oppure iatrogena, configurandosi un danno diretto per via di incongrue manovre chirurgiche eseguite nell’area interessata. In questi casi si tratta di una patologia vera e propria, correttamente riconosciuta come tale dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) il cui trattamento può essere eseguito presso le divisioni di Oculistica o Chirurgia Plastica degli Ospedali Pubblici o delle strutture Private Accreditate per tali competenze col SSN senza alcun costo per i pazienti.

Tecnicamente parlando, la blefaroplastica superiore si esegue praticando la classica incisione a losanga, previo disegno preoperatorio, che definisce l’entità della cute da rimuovere. In seconda battuta viene, se giudicato necessario, eseguito un leggero trimming (alleggerimento) delle fibre del muscolo orbicolare superiore e, se presenti, vengono rimosse le ernie adipose mediali e mediane. Emostasi e sutura per affrontamento diretto dei margini di incisione completano la procedura. A livello delle palpebre inferiori, le opzioni sono differenti a seconda delle necessità tecniche. Nel caso sia necessario il lifting della cute palpebrale, si procede con l’accesso esterno, a ridosso del margine ciliare inferiore per nascondere la cicatrice il più possibile. Si procede all’individuazione, all’isolamento e rimozione delle ernie adipose, se presenti. Emostasi, escissione della cute in eccesso e sutura diretta dei margini di incisione completano la procedura. Varianti tecniche sono costituite dalla tecnica transcongiuntivale che prevede la sola rimozione delle ernie adipose con accesso interno, transcongiuntivale. Questa tecnica è estremamente elegante perché ad essa non reliquano cicatrici esterne visibili. E’ appannaggio in particolare dei soggetti giovani, per i quali raramente si richiede il lifting della cute. Una ulteriore variante tecnica è costituita dall’accesso transcongiuntivale per la sola rimozione delle ernie adipose e dal successivo approccio esterno per la rimozione della cute in eccesso.

Del tutto differente la tecnica per la correzione della ptosi palpebrale che prevede l’isolamento del tendine del muscolo elevatore della palpebra superiore, il suo accorciamento nella misura necessaria o la sutura delle sue fibre a quelle muscolari, per assicurarne il corretto funzionamento. Questo intervento viene molto spesso eseguito in anestesia locale, allo scopo di verificare “in corso d’opera” la dinamica di funzionamento del tendine dopo le modifiche apportate e la simmetria con l’altro occhio.

Non bisogna dimenticare che la ptosi palpebrale può avere eziologia completamente diversa da quanto illustrato precedentemente. Può costituire uno dei primi sintoni di patologie neurologiche gravi, quali la miastenia, il cui inquadramento e terapia è, in primis, di pertinenza dello specialista neurologo e solo successivamente chirurgica. Fondamentale quindi la valutazione specialistica e la diagnosi differenziale per inquadrare il caso clinico.

I tempi di recupero e di convalescenza risultano contenuti, così come il disagio postoperatorio, limitato a pochi giorni. E’ possibile una sensazione di trazione sulla cute palpebrale, oltre alla presenza di lividi e di ecchimosi di variabile entità. Tutti disagi questi destinati a sparire in un breve arco di tempo. La rimozione dei punti di sutura avviene rapidamente, di solito nell’arco di cinque/sette giorni, mentre quello funzionale, ecchimosi e lividi che possono ridurre l’ampiezza del campo visivo a parte, è invece immediato. Naturalmente per il completo recupero dell’estetica delle palpebre, saranno necessari tempi più lunghi, ma questo vale per ogni intervento chirurgico. Ai tessuti bisogna necessariamente lasciare il tempo di “dimenticarsi” di essere stati operati.

Scritto da dr. Dauro Reale

Borse palpebrali e occhiaie

Molte persone utilizzano i termini di “borse sottopalpebrali” e “occhiaie” come sinonimi del medesimo inestetismo, mentre si tratta di due condizioni completamente differenti.

In prima battuta con il termine “occhiaie” si indica correttamente il colorito bluastro, in alcuni soggetti particolarmente evidente, a carico della regione palpebrale e sottopalpebrale inferiore. Questo inestetismo che tende ad accentuarsi nelle condizioni di stress psicofisico, è dovuto all’estrema sottigliezza della cute della palpebra inferiore, che lascia trasparire il colore scuro del sangue venoso poverissimo di ossigeno (ecco perché scuro rispetto a quello arterioso di colore rosso vivo ricchissimo invece di ossigeno). La stanchezza, il ristagno della circolazione tipico di chi ha per esempio dormito con la testa piegata o leggermente più bassa rispetto al piano del corpo, rallentando il flusso sanguigno rendono il problema più evidente.

La correzione di questo inestetismo non è mai chirurgica, perché ad esso sottintende un meccanismo circolatorio e una condizione anatomica sulle quali la chirurgia non può intervenire. Anzi, ogni maldestro tentativo in questo senso finisce con aggravare il problema, aggiungendo alla situazione di base i deficit che sono corollario del riarrangiamento cicatriziale di ogni superficie “aggredita” chirurgicamente. La migliore soluzione del problema sta nel camouflage con i correttori del colore. Ovviamente l’effetto è temporaneo, ma almeno il risultato è efficace.

Le borse adipose palpebrali, tipicamente localizzate a livello della palpebra inferiore, sono costituite dall’erniazione al di fuori del setto fibroso che le contiene, di una porzione del grasso presente nella regione periorbitaria. Immaginate un grappolo di uva, disposto non verticalmente, come siamo abituati a vederlo, ma orizzontalmente, potendo quindi parlare di borse adipose mediane, mediali e laterali. Questo tessuto adiposo ha la funzione di un vero e proprio ammortizzatore degli urti e dei traumi che possono coinvolgere la zona orbitaria e il globo oculare in essa contenuto. Questa condizione può essere congenita, presentandosi più frequentemente di quanto si immagini anche in soggetti giovani ed è frutto di una costituzionale insufficiente tenuta del setto fibroso che le trattiene, piuttosto che nel suo cedimento, appannaggio di soggetti maggiormente avanti con gli anni. In entrambi i casi, l’effetto finale è la ridondanza del grasso al di sotto della cute palpebrale, con l’effetto di appesantire e di invecchiare lo sguardo in maniera evidente a qualunque età.

Le borse adipose palpebrali possono anche presentarsi anche a livello delle palpebre superiori. In questo caso parleremo di borse adipose mediali e mediane, non essendo presente la borsa laterale, il cui posto è occupato dalla ghiandola lacrimale.

La soluzione di questo inestetismo è invece prettamente chirurgica. La loro asportazione, si badi bene non di tutto il grasso ma unicamente della porzione erniata, è un tempo dell’intervento di blefaroplastica, che nella palpebra superiore coinvolge l’eliminazione della cute eccedente che va a formare la classica tenda. A livello inferiore, le opzioni a disposizione del chirurgo sono due. Nella tecnica classica, con accesso esterno, viene praticato anche il lifting della cute palpebrale, come nelle palpebre superiori, oltre ovviamente alla rimozione delle borse adipose. Questa soluzione si applica solitamente in soggetti meno giovani, nei quali è presente anche un cedimento cutaneo suscettibile di essere corretto.

Nelle persone giovani, che non presentano cedimento e ridondanza di cute, l’opzione è quella della blefaroplastica inferiore per via transcongiuntivale, che permette la sola asportazione delle borse, accedendo per l’appunto dalla congiuntiva senza alcuna cicatrice esterna visibile.

Per completezza di informazione, va detto che alcuni chirurghi prediligono, qualora fosse necessario rimuovere sia le borse adipose inferiori che eseguire il lifting della cute, la combinazione di entrambe le tecniche, rimuovendo sempre le borse per via transcongiuntivale e solo successivamente rimuovere la cute eccedente, dopo aver verificato lo stato della palpebra una volta rimosse le borse.

Dobbiamo ricordare che la blefaroplastica, superiore, inferiore o totale che sia, pur costituendo uno degli interventi di maggiore soddisfazione per i pazienti, combinando un risultato stabile e duraturo con tempi di recupero e disagi veramente minimi, ha purtuttavia dei limiti. Ad esempio non è mai in grado di correggere le cosiddette “zampe di gallina” le pieghe radiali che si formano al canto esterno dell’occhio, frutto della continua contrazione e rilasciamento del muscolo orbicolare; in pratica quello che succede strizzando gli occhi! Per la correzione di questo inestetismo bisogna ricorrere a procedure alternative di medicina estetica. La tossina botulinica funziona allo scopo perfettamente. L’effetto è rapido e duraturo per circa sei mesi, dopodiché il trattamento deve essere ripetuto.

Scritto da dr. Dauro Reale

Apnea notturna

L’ apnea notturna costituisce un problema serio, tanto serio quanto sottovalutato, molto più diffuso nella popolazione di quanto si possa supporre. Per “apnea” si intende l’interrompersi del fisiologico ritmo della respirazione notturna. Può comparire in maniera episodica, oppure configurarsi come una vera e propria sindrome, appunto detta “sindrome delle apnee notturne” con conseguenze a livello metabolico molto serie. E’ provocata dall’aumento della percentuale di anidride carbonica, accompagnato dalla ridotta ossigenazione del sangue, frutto di una dinamica respiratoria problematica, il che stimola i centri nervosi che presiedono al controllo dei meccanismi respiratori, potendo portare al blocco degli stessi, con le immaginabili conseguenze.

Lasciando da parte la “sindrome della morte improvvisa” del lattante in cui l’eziologia del blocco della respirazione è spesso indeterminabile e venendo quindi al soggetto adulto, le cause che possono portare alla “sindrome delle apnee notturne” sono varie, ma sempre riconducibili a una modificazione della qualità e della quantità (se così si può dire) dell’aria inspirata.

Bisogna innanzitutto ricordare che durante la notte, per via della posizione orizzontale del corpo e in particolare della testa, la base della lingua tende a spostarsi all’indietro provocando un inevitabile restringimento dello spazio respiratorio. Nei soggetti diciamo “normali” il compenso è comunque sufficiente, assicurando i corretti e basali volumi inspiratori e espiratori. In molti altri, a causa di molteplici situazioni che indicheremo brevemente, tale fisiologico compenso viene meno, innescando la cascata di eventi che possono portare alla genesi delle apnee.

In prima battuta si deve tenere conto dell’anatomia di base. Soggetti con il collo corto e tozzo hanno maggiore probabilità di “andare in crisi” rispetto a coloro a cui madre natura ha regalato un collo magro e sottile. Un secondo elemento è l’eccesso di peso corporeo. I soggetti marcatamente in sovrappeso, per non parlare degli obesi, assai facilmente vanno incontro a queste problematiche. Vuoi, come già accennato, per via della “compressione degli spazi respiratori” vuoi per una alterata capacità di far muovere i muscoli respiratori del torace e il diaframma, a causa del peso eccessivo.

Terzo elemento da considerare è l’anatomia della regione nasale. Una importante deviazione del setto, congenita o traumatica che sia, con ostruzione di una o entrambe le fosse nasali, riduce quantitativamente e qualitativamente i flussi aerei all’interno delle fosse nasali. Patologie sinusali e sinusitiche croniche, riniti croniche su base allergica o vasomotoria possono portare attraverso meccanismi prima di ipertrofia e poi degenerativi di quei regolatori di flusso che sono i turbinati nasali, agli stessi risultati.

Spesso nessuno di questi elementi citati è da solo in grado di produrre apnee, ma la loro combinazione, una eziopatogenesi multifattoriale quindi, è abbondantemente in grado di innescare il meccanismo. Si può capire quindi come la valutazione diagnostica e l’eventuale terapia coinvolgano specialisti diversi. Innanzitutto il neurologo che valuterà la qualità e le modificazioni della dinamica respiratoria. In seconda battuta l’internista che valuterà lo stato generale di salute del paziente, con particolare attenzione al peso corporeo e all’insorgere o alla presenza di patologie cardiovascolari, in primis l’ipertensione arteriosa, oltre a patologie cardiache vere e proprie. Sarà poi la volta degli specialisti otorinolaringoiatra e chirurgo plastico, particolarmente interessati alla rinologia, che dovranno valutare l’anatomia e la fisiologia delle prime vie aeree e dei distretti nasale e naso sinusale.

La settoplastica, associata o meno alla chirurgia dei turbinati, costituisce un valido presidio, non l’unico, per regalare a questi pazienti una qualità della vita nettamente superiore.

Scritto da dr. Dauro Reale

Blefaroplastica: note di tecnica e indicazione

Il termine “blefaroplastica” indica al grande pubblico un concerto di tecniche volte al ringiovanimento del distretto oculo palpebrale, tanto nella sua interezza, quanto nella correzione di inestetismi “settoriali” Da un punto di vista tecnico l’intervento può essere gestito, a seconda della necessità, con la sola anestesia locale, oppure accompagnata da una leggera sedazione, oppure ancora in anestesia generale. Naturalmente le condizioni generali del paziente, la sua volontà (in pratica la valutazione del suo equilibrio emotivo) e le necessità strettamente tecniche orientano la scelta.

Blefaroplastica prima dopoL’indicazione alla blefaroplastica superiore è classicamente quella dell’eccesso di cute localizzato per l’appunto a livello della palpebra superiore. In sede di visita, il chirurgo classicamente utilizza una pinza sottile per valutare l’entità della cute da rimuovere. Fino a che, nonostante la plicatura forzata della cute, l’occhio si chiude normalmente, vuole dire che quello è esattamente il “quantum” di tessuto che può e deve essere rimosso. Una leggera pressione sul bulbo oculare permetterà al chirurgo di valutare la presenza di eventuali borse adipose che saranno asportate in concomitanza all’eccesso cutaneo. Si otterrà in questo modo un alleggerimento complessivo della palpebra superiore, con vantaggi estetici e funzionali.

Blefaroplastica superiore e inferioreUna attenzione ancora maggiore deve essere posta nella valutazione delle palpebre inferiori. Per quanto costituiscano la porzione inferiore di un unico complesso, quello palpebrale, posto a protezione dell’occhio, l’anatomia di questa regione, la patologia, gli inestetismi che la coinvolgono, son molto differenti. Le stesse indicazioni operatorie variano e non di poco. Se nelle palpebre superiori l’eccesso di cute – la blefarocalasi – costituisce l’elemento determinante, seguito dalle borse adipose, nelle palpebre inferiori la situazione si ribalta completamente. A livello inferiore le borse adipose costituiscono spesso l’elemento determinante, e a volte l’unico, dell’inestetismo. Bisogna valutare con estrema attenzione la situazione della cute. Essa spesso appare in eccesso mentre poi non lo è. Questo apparente paradosso è frutto della spinta in avanti dovuta all’erniazione delle borse, che stirano verso l’esterno la cute, facendola apparire ridondante più di quanto realmente sia. Un ulteriore elemento confondente è costituito dal tono, o meglio dire in questi casi dalla lassità, del muscolo orbicolare inferiore. Il suo cedimento trascina la cute verso l’esterno e il basso, facendo apparire un eccesso, una ridondanza della cute che spesso è virtuale. Un errore di indicazione a questo livello, cioè la decisione di rimuovere cute che non andrebbe toccata, può portare a situazioni, vere e proprie complicazioni estetiche e funzionali, di difficile gestione. Esiste un noto aforisma, proverbio se lo vogliamo chiamare, noto a tutti i chirurgi plastici. Esso dice più o meno così: “la cute che si rimuove dalle palpebre superiori, non è mai abbastanza. Quella che si rimuove dalle palpebre inferiori, è sempre troppa”
Queste poche parole rendono meglio di tante disquisizioni tecnico tattiche la situazione che il chirurgo plastico si trova a dover affrontare. Se correttamente interpretata, in prima battuta nell’indicazione, da sempre il primo atto chirurgico, la blefaroplastica risulta uno degli interventi più soddisfacenti dell’intera chirurgia estetica.

Scritto da dr. Dauro Reale

Blefaroplastica indicazioni e limiti

La blefaroplastica, o chirurgia estetica delle palpebre, riguarda tanto le palpebre superiori che quelle inferiori, con indicazioni differenti e opzioni tecniche quanto mai varie. Nell’ambito della chirurgia del ringiovanimento, la correzione degli inestetismi del distretto oculo palpebrale occupa un posto di rilievo e ha indicazioni estremamente ampie. Innanzitutto la possibilità di trattare separatamente le palpebre superiori o quelle inferiori, oltre che naturalmente entrambe nel medesimo intervento, ampia grandemente la platea dei potenziali fruitori. Ricordiamo anche che i tempi “tecnici” di esecuzione e quelli di recupero sono piuttosto brevi, consentendo quindi rapidamente il ritorno dei pazienti alle proprie occupazioni. La blefaroplastica superiore corregge classicamente l’eccesso di cute, la cosiddetta tenda, che con gli anni tende a formarsi sulle palpebre superiori, riducendo addirittura in qualche caso l’ampiezza dello stesso campo visivo. Va da sé che la blefarocalasi, la tenda, rende lo sguardo pesante, stanco e vecchieggiante. Correggere questo inestetismo può quindi avere una duplice valenza, estetica e funzionale. Aumentare l’ampiezza del campo visivo ha chiaramente un importante aspetto funzionale, oltretutto “riaprire” lo sguardo lo ringiovanisce in maniera determinante.

Per quello che riguarda le palpebre inferiori, le indicazioni sono molteplici. In prima battuta permette l’eliminazione delle borse adipose che tanto appesantiscono lo sguardo, non necessariamente di soggetti avanti con gli anni, ma anche di soggetti giovani. Le tecniche moderne consentono di intervenire sulle borse adipose ”dall’interno” senza quindi la presenza di alcuna cicatrice visibile. Si può ben comprendere come in particolare nei soggetti più giovani tale opportunità è molto apprezzata. Esiste a questo proposito un elemento anatomico da considerare. Nelle palpebre inferiori dei soggetti giovani, e spesso anche di soggetti meno giovani, l’indicazione al lifting della palpebra inferiore è limitatissimo. Errori di indicazione e l’utilizzo di tecniche incongrue possono portare a complicazioni molto delicate da gestire; esse potranno riguardare non solo aspetti estetici, come la semplice modificazione della forma dell’occhio, già di per sé stesso un inestetismo grave, ma veri e propri deficit funzionali con complicanze addirittura corneali, che possono richiedere interventi ricostruttivi assai complessi. In altri casi invece la combinazione della correzione della blefarocalasi, del lifting della palpebra inferiore e della ablazione delle ernie adipose superiori e inferiori, ringiovanisce lo sguardo in maniera determinante.

Quanto sopra detto esplicita in maniera chiara come l’indicazione alla blefaroplastica, parziale o totale che sia, abbraccia soggetti, uomini e donne, di tutte le età, portatori di inestetismi molto differenti fra loro. Un soggetto giovane con un viso fresco e luminoso, può trovare molto sgradevole un inestetismo quale quello delle borse adipose inferiori, che appesantiscono non poco uno sguardo luminoso, quale quello di un giovane. Alla stessa maniera la sola tenda che si forma per l’eccessiva presenza della cute della palpebra superiore, appesantisce lo sguardo con un meccanismo differente ma nella sostanza, per quel che riguarda l’effetto finale identico, alla borsa adiposa inferiore. Nei soggetti giovani o mediamente giovani, queste correzioni “singole” realizzano l’obiettivo finale; quello di restituire luce allo sguardo. Nell’ambito della vera e propria chirurgia del ringiovanimento, appannaggio di soggetti più avanti negli anni, la blefaroplastica, solitamente totale, entra nel novero delle procedure di ringiovanimento del volto, delle quali il lifting in tutte le sue varianti è la principale. Trattandosi di un intervento versatile, può fare parte di un progetto chirurgico complesso – lifting e blefaroplastica – o presentarsi in tutta la sua valenza come procedura isolata.
Il risultato finale è comunque assicurato.

Scritto da dr. Dauro Reale

Addominoplastica cenni storici

É molto difficile attribuire la paternità dell’intervento chirurgico di addominoplastica ad un preciso soggetto. La storia della medicina (e per molto tempo bisogna ricordarlo, la chirurgia, pur con tutti i suoi limiti, costituiva quasi l’unica “medicina”), nasce dalla “curiosità” di menti illuminate di penetrare i segreti del corpo umano, per molti secoli considerato inviolabile e di valicare quel sottile confine che separa il concetto di “salute” da quello di “malattia” oltreché dal desiderio di portare sollievo ai propri simili. Le necessità stimolano l’ingegno e nel corso della storia molti chirurghi hanno ideato e praticato nuove tecniche di intervento, seppure indipendentemente gli uni dagli altri. Basti dire che, nella decade antecedente il XX° secolo, furono molti i chirurghi che praticarono panniculectomie allo scopo di correggere i grossi grembiuli addominali in casi di obesità.

Su questo argomento, la letteratura antecedente al 1890 riporta trattamenti basati su diete, esercizio fisico, norme igieniche di vita e corsetti di sostegno. Una di queste terapie prevedeva l’uso di strisce gessate posizionate attorno alla vita, che dovevano essere cambiate ogni settimana e sostituite con altre, sempre più strette (Allshorn, 1875).
Il lavoro più vecchio che siamo riusciti a trovare sulla panniculectomia addominale riguarda il sunto di un caso descritto da Demars e Marx, pubblicato sul Progrès Medicai, il 5 aprile 1890. In quell’occasione fu rimosso un lembo cutaneo adiposo del peso di due kg. Venne effettuata un’incisione trasversa sottombelicale a forma di semiluna, che si estendeva fra le due spine iliache anterosuperiori.
Quando Demars e Marx pubblicarono il loro intervento, rendere partecipi i colleghi delle scoperte mediche era un’impresa lenta e diffìcile. Ancora non esistevano i rapidi mezzi di trasporto, né le grandi biblioteche mediche centrali e ancora non erano state fondate le società scientifiche internazionali.
Si può quindi capire come Kelly fosse convinto che la resezione addominale trasversa da lui descritta nel 1899, fosse la prima nel suo genere. Bullit preparò un articolo nel 1900 e parimenti pensò di essere stato il primo ad aver avuto l’idea di una resezione addominale trasversa. Allo stesso modo Creveling, nel 1904, credette di essere stato il primo a descrivere una lipectomia addominale, intervento che eseguì praticando una resezione verticale lungo la linea mediana.
Nel 1909, Weinhold fu probabilmente il primo a descrivere un’approccio chirurgico che prevedeva sia un accesso verticale che orizzontale alla parete addominale.
Alcuni dei primi studiosi della materia, considerarono importante, nell’approccio all’addominoplastica, anche l’aspetto estetico. Nel 1910, Kelly scrisse:”A prescindere dai grossi benefìci fisici e talora, anche psicologici, personalmente consiglio e pratico l’intervento, in casi eccezionali, anche per finalità estetiche”.

Scritto da dr. Dauro Reale

Addominoplastica, brevi note di tecnica

Con il termine di “addominoplastica” si fa solitamente riferimento all’addominoplastica completa, tecnica che prevede, oltre all’incisione curvilinea fra le due spine iliache anterosuperiori, anche quella circolare attorno all’ombelico che ne permette l’isolamento e la successiva trasposizione. In questo caso, tutto il lembo cutaneo adiposo posizionato fra il margine inferiore della circonferenza ombelicale e che, con andamento curvilineo, scende a raggiungere l’incisione arciforme fra le due spine iliache anterosuperiori viene rimosso e i due lembi rimanenti vengono avvicinati e chiusi con sutura diretta. Naturalmente l’ombelico sottostante viene fatto riemergere nella corretta posizione ed i margini cutanei suturati. L’ampio scollamento dei tessuti, esteso solitamente in alto fino al margine inferiore delle arcate costali, permette alcune manovre tipico corollario di questo intervento, quali la sintesi sulla linea mediana dei muscoli retti addominali lungo tutta la loro estensione, qualora fosse presente diastasi degli stessi, oppure interventi riparativi di maggiore calibro eseguiti di concerto con lo specialista chirurgo generale, quali la riparazione diretta di ernie e/o il posizionamento di reti in materiale alloplastico per rinforzare maggiormente la “tenuta” della parete addominale. Questa procedura viene eseguita in regime di ricovero, in anestesia generale e richiede almeno una notte di osservazione in reparto, potendosi programmare la dimissione il giorno successivo, salvo diverse valutazioni. Ad essa può essere associata la lipoaspirazione della sola regione dei fianchi, allo scopo di modellare ulteriormente la regione addominale. Estendere la procedura di lipoaspirazione al lembo cutaneo adiposo appena scolpito, è procedura rischiosissima per l’integrità e la successiva guarigione dei tessuti, risultandone per gli stessi un traumatismo di portata eccessiva. Tale manovra viene infatti grandemente sconsigliata in tutta la letteratura scientifica sull’argomento.

Con il termine di “miniaddominoplastica” o “addominoplastica sottombelicale” si suole definire una procedura a minore impatto nella quale, a fronte dell’incisione curvilinea analoga a quella dell’addominoplastica che definiremo “maggiore”, lo scollamento del lembo cutaneo adiposo è limitato verso l’alto, non raggiungendo nemmeno il margine inferiore della circonferenza dell’ombelico, che quindi non viene isolato e successivamente trasposto. Anche in questo caso la chiusura della breccia chirurgica viene eseguita per sutura diretta dei margini e l’ombelico risulta solo leggermente stirato verso il basso, mantenendo comunque una congrua posizione. Questa procedura si configura chiaramente come meno invasiva della precedente, permettendo l’asportazione di una porzione di tessuto decisamente inferiore, oltre a manovre già citate, quali la sintesi dei muscoli retti addominali, limitata all’area dello scollamento. Stante il minore traumatismo sul lembo cutaneo adiposo inferiore e nullo su quello superiore sovra ombelicale, risulta possibile procedere allo sgrassamento mediante lipoaspirazione dell’intero addome, non risultandone un traumatismo per i tessuti di eccessiva entità. Anche questa procedura viene eseguita in regime di ricovero e in anestesia generale, prevedendosi per essa una notte di osservazione in reparto con dimissione il giorno successivo, salvo diverse indicazioni.

Questa semplice descrizione consente anche al profano di comprendere come le indicazioni cliniche ai due interventi differiscano in maniera sostanziale. Nel caso in cui la lassità dei tessuti addominali coinvolga tanto l’addome superiore quanto quello inferiore e se ad essa si associno una estesa diastasi dei muscoli retti addominali o lesioni di varia entità della parete addominale, chiaramente l’indicazione è per la procedura completa.  Nel caso in cui l’inestetismo si limiti ad una ridondanza cutaneo adiposa della porzione inferiore dell’addome, allora entra in gioco l’indicazione per la “miniaddominoplastica” o più correttamente, per “l’addominoplastica sottombelicale” associata o meno alla lipoaspirazione di addome superiore, inferiore e fianchi.

Entrambe queste procedure risultano per i pazienti di estrema soddisfazione. Trattandosi però, in particolare modo l’addominoplastica completa, di interventi invasivi, bisogna attentamente valutare le condizioni generali di salute e le abitudini di vita dei pazienti e la presenza di patologie concomitanti che possano interferire in negativo coi processi di recupero e guarigione. Pazienti diabetici, in particolare se il diabete appare fuori controllo per la cattiva risposta dell’organismo ai farmaci oppure per la non corretta assunzione degli stessi, oppure pazienti portatori di patologie cardiovascolari o nello specifico della coagulazione sanguigna, devono essere valutati con riguardo fino alla controindicazione all’intervento, almeno fino a quando le patologie rientranti nel novero dei criteri di esclusione non risulteranno sotto controllo. Relativamente agli stili di vita, pazienti fumatori oppure forti consumatori di sostanze alcoliche non presentano le caratteristiche di idoneità ad interventi elettivi di questa portata. Gli effetti negativi del fumo, con il corollario della ridotta ossigenazione tessutale, fanno oramai parte del sapere comune e non vale la pena su di essi di dilungarsi ulteriormente. Allo stesso modo l’eccessivo consumo di alcolici e superalcolici sottopone il fegato a degli stress metabolici con conseguente difficoltà dello stesso a supportare l’organismo nei complessi meccanismi riparativi e di rigenerazione tessutale che questi interventi chirurgici comportano.

Complicazioni quali ematomi, difficoltà o rallentamento del processo di guarigione delle ferite, sono patrimonio comune di tutta la chirurgia e possono essere gestiti con un attento monitoraggio del paziente nella fase postoperatoria. Una parola in più va spesa per il sieroma, una complicazione che nelle procedure di  addominoplastica è descritta con una certa frequenza, pur non essendo esclusiva della stessa. Si tratta della formazione di liquido sterile nella parete addominale che, se prodotto in minima quantità, viene riassorbito dai tessuti stessi. Diversamente, richiede la sua aspirazione mediante siringa. Si tratta del risultato di una reazione dei tessuti traumatizzati dall’insulto chirurgico. In buona parte dei casi il tutto si risolve in tempi brevi, poche settimane, monitorando i pazienti con frequenza. In altri casi il processo può durare anche mesi, pur con terapie e controlli adeguati alla situazione. Un ottimo modo di ridurre al minimo i rischi di tali complicazioni, è quello di seguire le indicazioni del chirurgo fornite all’atto della dimissione, inerenti il trattamento farmacologico, le modalità e i tempi della convalescenza e l’utilizzo di medicazioni compressive almeno per il primo mese successivo all’intervento. La compressione esercitata da corpetti, guaine elastiche, pancere contenitive e quant’altro verrà ritenuto idoneo, aiuta grandemente la stabilizzazione nella corretta posizione dei lembi riposizionati, riducendo al minimo il rischio di formazione di  “spazi liberi” che il siero tenderà a occupare.

Scritto da dr. Dauro Reale

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Addominoplastica – chirurgia addome – liposuzione addominale – https://www.dauroreale.com/chirurgia-addome.html | Dr. Dauro Reale, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica

Il significato della chirurgia e della medica estetica nella società attuale. Come è cambiata la percezione della propria fisicità e del rapporto fra il corpo e la mente nel mondo e nella società di oggi

L’aspirazione alla bellezza e alla cura di sé fa parte della sensibilità umana, sin dalla notte dei tempi. Prova ne sia il ritrovamento costante nelle tombe, fin dalla preistoria, di oggetti quali vasetti per raccogliere gli unguenti, o le tinture per i capelli, per non parlare di monili o gioielli a volte di incredibile fattura. Una volta questa sensibilità, o meglio la possibilità di dare ad essa libero sfogo, era appannaggio delle classi più elevate, mentre la plebe doveva confrontarsi unicamente con le stringenti necessità quotidiane per assicurarsi la sopravvivenza. Nonostante questo, l’aspirazione al bello ha connotato intere civiltà che ne hanno fatto in ogni epoca della storia un carattere addirittura distintivo. Basti pensare alle meraviglie delle civiltà precolombiane, all’antica Babilonia, all’antica Grecia, alla Roma Imperiale, fino al periodo rinascimentale Italiano. Mano a mano che la qualità della vita delle popolazioni lentamente e con fatica saliva, cresceva la possibilità di dedicare sempre maggiore spazio alla cura di sé. Una crescita della spinta individualista avversata dall’etica religiosa in qualsiasi forma declinata, che proiettava gli individui verso obiettivi più elevati, caratterizzati più in ambito sociale che personale, che però nel tempo non ha retto “l’urto” del desiderio recondito di ognuno di noi a fare qualcosa semplicemente “per noi stessi”

Non si deve a questo proposito pensare che chirurgia e medicina estetica siano figlie della modernità, legate cioè alla padronanza degli strumenti e delle conoscenze tecnologiche che ad esse oggi noi sottintendiamo. I libri di tecnica chirurgica sono scolpiti nella pietra o nella carta più antica e declinati in linguaggi oramai del tutto scomparsi e tradotti dagli scienziati. Verrebbe da dire che nel corso dei millenni ben poco è in fondo cambiato. L’uomo, nelle sue peculiarità, nel bene e nel male, è sempre quello.

Per definire correttamente il significato di chirurgia e medicina estetica, vale forse la pena di partire alla rovescia, dal fondo. Indicare chiaramente cosa chirurgia e medicina estetica non sono. Medicina e chirurgia estetica non costituiscono panacee di tutti i mali, non sono passaporti per la felicità, non rendono, una volta rimossi i cerotti e i bendaggi, l’uomo o la donna diversi da ciò che sono sempre stati. Sono dei formidabili strumenti, questo sì, in grado di aiutare ognuno di noi a vivere meglio con sé stesso e a ritrovare quell’armonia fra le potenzialità che il nostro spirito ci trasmette e l’immagine esteriore che i nostri occhi in prima battuta e quelli degli altri in seconda, recepiscono. Recuperare questa armonia è la chiave di volta per affrontare con maggiore fiducia, consapevolezza e serenità le mille avventure del vivere quotidiano. Tutti questi passaggi, questo guadagno di fiducia e consapevolezza non possono non trasmettersi su coloro coi quali ci relazioniamo quotidianamente. Un uomo o una donna che sta meglio con sé stesso, vive molto meglio il rapporto con gli altri e gli altri con lui.

La chirurgia e la medicina estetica possono costituire un regalo ed un bene per ognuno di noi. L’importante è attribuire ad esse il giusto valore

La chirurgia estetica non significa solo un volto ringiovanito, un naso o un seno più armonici, un profilo corporeo maggiormente scolpito. I dettagli solo apparentemente fanno la differenza. E’ sempre un “insieme” quello che colpisce.

Sicuramente è un’affermazione vera. Ricordiamoci che la vera chirurgia e la vera medicina estetica sono appannaggio della gente comune, in base ai personali limiti e alla propria sensibilità, dimensioni queste molto lontane da certe forzature e spettacolarizzazioni lontane dalla vita di tutti i giorni, anche se forse funzionali, (ma sarà poi vero?), a certi ambiti professionali. Non dimentichiamo mai che un intervento non è un abito che si dismette, si regala o si butta via, quando non sta più bene indosso. Un intervento ce lo portiamo con noi tutta la vita, nel bene e nel male. Ponderiamo quindi bene quello che facciamo e valutiamo ancora meglio, se così si può dire, la professionalità e la sensibilità di coloro ai quali ci rivolgiamo. Sottoporsi ad un intervento di chirurgia estetica, può costituire in certi momenti della vita la decisione migliore che chiunque possa prendere.

La chirurgia estetica e la medicina estetica possono costituire un’arma a doppio taglio

Chirurgia e medicina estetica, come tutto nella vita, possono costituire un’arma a doppio taglio, paradossalmente per gli stessi aspetti che ne configurano il valore. Il problema sorge nel momento in cui cerchiamo di attribuire a queste procedure un valore taumaturgico che non possiedono. Sono sempre strumenti utili a completare un percorso di crescita personale, non saranno mai la soluzione di un problema. Considerarli tali è come nascondersi dietro un dito. La soluzione dei problemi è sempre solo in noi. Tutto quanto funge da accessorio, esegue pienamente il compito, ma non può andare oltre. E’ questa una verità che intimamente tutti noi conosciamo.

Scritto da dr. Dauro Reale

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Chirurgia estetica – https://www.dauroreale.com | Dr. Dauro Reale.
Specializzazioni in: Chirurgia plastica e ricostruttiva, Otorinolaringoiatria.
Ha maturato oltre 30 anni di esperienza come chirurgo estetico.
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